martedì 1 aprile 2014

Lei

Lei.
Vive in una casa che da ogni finestra si vede il mare.
Ha sposato l'amore dei suoi quindici anni, quello che la guardava nascosto dietro le dita delle mani aperte dal banco della fila dietro.
Quando scende i gradini lascia scivolare i polpastrelli sui muri di pietra, pensando che se inciampasse potrebbe sorreggersi agevolmente. Non teme la scabrosità di quel muro antico.
Non inciampa mai
mentre solleva ceste colme di limoni o di mazzi basilico.
A volte perde tempo nei pomeriggi afosi a seguire con i suoi passi scie di profumi per i sentieri sui monti. A volte è origano, a volte sono ciuffi nascosti di borragine.
La sua testa è libera e leggera, i suoi pensieri sonnecchiano e lei segue solo i suoi sensi resi più acuti dal frinire delle cicale tra le foglie.
Ama il frinire delle cicale, le spie degli dei che raccontano loro le parole che gli uomini si scambiano mentre riposano all'ombra di qualche olivo nelle ore calde del giorno,
ma per quello che le riguarda, ride di quelle leggende vecchie e stanche.
Lei sa che le cicale non ascoltano nulla, loro vivono e basta. Passano le loro generazioni indifferenti a quegli esseri miseri che sono gli umani. E poi è lei che ascolta loro.
Lei che si lascia intorpidire, ipnotizzare da quel canto meraviglioso e potente sempre uguale e sempre diverso, un canto che si disperde nel verde delle fronde e amplifica all'infinito gli spazi  con impercettibili echi.
Lei è selvatica, preferisce la compagnia delle pietre.
Le manca tuttavia di ascoltare una parola umana buona. Sono così rare le parole umane buone.
Preferire le pietre e sentire la mancanza di una parola: questo è il suo paradosso.
In fondo tutte le persone ne hanno uno.

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